Oggi al Tar del Lazio gli avvocati di Confestetica hanno concluso l’udienza riguardo l’annullamento del Decreto 12 maggio 2011, n. 110 – Regolamento di attuazione dell’art. 10, comma 1, della legge 4 gennaio 1990, n. 1, relativo agli apparecchi elettromeccanici utilizzati per l’attività di estetista – emesso dal Ministero dello Sviluppo Economico di concerto con il Ministero della Salute e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 163 del 15 luglio 2011.

All’udienza non erano presenti gli avvocati dei Ministeri citati.
Confestetica ha chiesto l’annullamento e ha fatto ricorso al Tar perché crede che questo decreto abbia cancellato un ventennio di evoluzione tecnologica nel mondo dell’estetista, non provvedendo, di fatto, a cristallizzare una situazione di professionalità e sicurezza che invece gli operatori del settore avevano acquisito sul campo, investendo personalmente risorse, soprattutto economiche, per l’aggiornamento ed il reperimento di tecniche efficaci e, al contempo, sicure.

Il preoccupante ritardo con cui si è intervenuto nella materia de qua ha doppiamente leso la categoria che, infatti, si è vista per lungo tempo riconoscere diritti che, oggi, senza che si possano individuare le ragioni precise e scientifiche, le vengono tolti, senza tenere in debita considerazione gli onerosi investimenti fatti e delle energie profuse nella propria attività. Occorre tenere a mente che ogni macchinario tra quelli sopra citati ha un costo che si aggira fino ai 50.000,00 Euro e che il costo oggi richiesto per l’adeguamento ai nuovi parametri, per le attrezzature ancora lecite, comporterà un ulteriore esborso di 10.000,00 Euro per l’aggiornamento del software e degli accessori.

Il danno alla categoria ora brevemente rappresentato non pare bilanciato affatto dalle motivazioni addotte dal decreto interministeriale 110/2011, ed atti richiamati per relationem, che, a ben vedere, penalizza fortemente la categoria, oltre che i consumatori.

Orbene, alla luce di tali disposizioni costituzionali sopravvenute nell’anno 2001, rispetto all’emanazione della legge quadro in materia che risale al 1990, ne discenderebbe oggi che i Ministeri non avrebbero più alcuna potestà regolamentare nella materia de qua, qualora la si volesse considerare rientrante nel novero di quelle di legislazione concorrente (ovvero residuale), assodato che tanto le professioni che la tutela della salute non sono comprese tra le materie di legislazione esclusiva (ove lo Stato conserva ancora la potestà regolamentare).

In questo nuovo assetto costituzionale, pertanto, sono le Regioni a dovere emanare i regolamenti in tutte quelle materie che non sono di esclusiva spettanza dell’amministrazione centrale, così come indicate nel secondo comma dell’art. 117 Cost.

L’attività di estetista, a ben vedere, può dirsi ricompresa, al più, tra le professioni con la conseguenza che la materia de qua deve essere trattata secondo i principi indicati dall’art. 117 Cost., comma 3 (legislazione concorrente). Anche qualora poi si volessero ravvisare nella fattispecie in questione profili legati alla tutela della salute, ugualmente si perverrebbe alla medesima conclusione, dal momento che anche la tutela della salute è annoverata tra le materie di legislazione concorrente.

Tanto il Ministero dello Sviluppo Economico che quella della Salute, pertanto, non avrebbero più alcuna competenza in merito alla emanazione di un regolamento come quello oggi impugnato, oggi trasferita, secondo il chiaro disposto della Costituzione, alle Regioni.
A conferma di quanto appena esposto, si consideri che la Regione Toscana ha varato una propria legge volta a regolamentare sul proprio territorio l’attività di estetica e di tatuaggio e piercing.

Ora non ci resta che attendere l’esito della sentenza che si attende per la metà di novembre p.v..