Il tatuaggio con finalità medica è un trattamento estetico e quindi è una competenza propria dell’estetista e per essere erogato necessita della regolare licenza di estetica rilasciata con SCIA dal singolo Comune.

La dermopigmentazione con finalità medica, al di fuori delle strutture sanitarie, non è consentita né a medici né ad infermieri né a tatuatori se privi della “licenza comunale” di estetica.

Il tatuaggio con finalità medica è un termine ingannevole [Circolare n. 22724]

Tutto ha avuto inizio il 15 maggio 2019 con la Nota Circolare 0014138-15/05/2019-DGPRE-MDS-P del Ministero della Salute che ha tentato di sottrarre alla professione di estetista le competenze proprie del tatuaggio con finalità medica della zona areola-capezzolo, sostenendo senza ragione che la prestazione “pigmentazione dell’areola - capezzolo” doveva essere eseguita esclusivamente da chi esercitava una professione sanitaria, in ambulatorio accreditato o autorizzato, a seconda che venga o non venga eseguita a carico del Servizio Sanitario Nazionale: non poteva essere eseguita in strutture non sanitarie e da personale non sanitario.
Da ciò conseguiva che attività formative, in tali ambiti, non potevano essere rivolte agli operatori che svolgevano le attività previste dalla legge 1/1990 per la figura artigianale dell’estetista, ma esclusivamente ai professionisti sanitari.

Questa scellerata circolare, priva di qualsiasi principio logico, giuridico e scientifico ha impedito a migliaia di donne, per oltre due anni, di farsi tatuare l’areola-capezzolo dopo un intervento di mastectomia.

Il Consiglio di Stato ha annullato definitivamente la Nota Circolare del Ministero della Salute 0014138-15/05/2019-DGPRE-MDS-P con dermopigmentazione areola capezzolo Sentenza Consiglio di stato

Il Collegio ha così definitivamente chiuso la questione, ritenendo fondato nel merito il ricorso promosso da Confestetica e, sulla base delle risultanze della verificazione esperita dall’Istituto Superiore di Sanità.

Infatti, l’Istituto Superiore di Sanità, quale organo verificatore nominato dal Consiglio di Stato, ha precisato che “la dermopigmentazione è l’atto che, attraverso l’introduzione di pigmenti, mira ad ottenere una restitutio ad integrum della parte lesa a seguito di ricostruzione chirurgica del complesso areola capezzolo”, sicché essa non può essere assimilata ad un trattamento terapeutico e non richiede un piano ‘terapeutico’ per la pratica. 
Il collegio giudicante ha evidenziato i seguenti punti:
1 – la definizione di trattamento terapeutico non discende automaticamente nell’inserimento tra i LEA;
2 – nella specie la dermopigmentazione non costituisce trattamento terapeutico;
3 – la competenza maggiore e specializzata in ordine alla predetta pratica appartiene proprio agli estetisti precipuamente preparati, anche se, in talune circostanze (come quella in cui vi siano stati precedenti interventi chirurgici o situazioni particolari dei tessuti) è richiesto il previo parere del medico specialista;
– allo stato, non sussistono altre figure professionali adeguate.

I motivi di appello di Confestetica sono stati esaminati congiuntamente dal Consiglio di Stato essendo tutti diretti ad evidenziare la riconducibilità del trattamento di tatuaggio con finalità medica alle competenze proprie della professione di estetista.

Il Collegio giudicante ha evidenziato, altresì, che la pratica della dermopigmentazione non può essere ricondotta alla tipologia del trattamento terapeutico, come unica conseguenza della sua indicazione tra i L.E.A.. I Livelli Essenziali di Assistenza, infatti, sono le prestazioni e i servizi che il Servizio Sanitario Nazionale è tenuto a garantire a tutti i cittadini. Affermare la natura sanitaria come unica conseguenza dell’inclusione dell’elenco implica un salto logico, che non può trovare condivisione.

Inoltre, il Collegio ha anche rilevato come l’attività di dermopigmentazione sia specificamente finalizzata a ristabilire il benessere complessivo della persona attraverso un trattamento estetico (e dunque riconducibile all’attività propria dell’estetista, di cui alla legge n. 1/90, nulla avendo a che vedere con l’intervento chirurgico). 

Emerge, altresì, che, nel caso di tessuti trattati da radioterapia o chemioterapia, il professionista debba necessariamente acquisire il parere di un medico, prima di effettuare il trattamento, come, peraltro, è tenuto a fare in aderenza alla diligenza professionale in altri casi particolari.

Ancora, va precisato che, allo stato, i corsi abilitanti alla effettuazione della dermopigmentazione sono diretti agli estetisti, mentre non risultano, come rilevato dai verificatori, corsi di preparazione per operatori sanitari o per medici.
Vale osservare – prosegue il Collegio – per completezza, che nell’auspicio di una dettagliata disciplina del settore, che sia in condizione di eliminare il disallineamento delle prescrizioni, permane la necessità di garantire alle persone che ne abbiano necessità, già pazienti oncologiche, ove non vi siano controindicazioni segnalate dal medico, trattamenti in grado di assicurare il ripristino della migliore condizione psicofisica (ciò che non sarebbe possibile ove la dermopigmentazione fosse preclusa agli estetisti specializzati, a maggior ragione in assenza di una preparazione specifica di altri operatori).

Confestetica si appresta quindi a richiedere in separato giudizio al Ministero della Salute il risarcimento integrale dei danni subiti dalla categoria professionale che rappresenta già quantificati in 70 milioni di euro.

Scarica la Sentenza del Consiglio Di Stato 

Rimini 18 giugno 2021
Il segretario generale di Confestetica
Roberto Papa