C.R.G.N. 194/2018 
Con il D.P.R. 15 luglio 2003 n 254 “Regolamento recante disciplina della gestione dei rifiuti sanitari a norma dell’articolo 24 della legge 31 luglio 2002 n 179” sono per la prima volta considerati equivalenti, al fine della classificazione e quindi della relativa gestione e smaltimento, quei rifiuti derivanti da attività professionale, e quindi definiti speciali secondo il decreto legislativo n 22 del 1997, prodotti al di fuori delle strutture sanitarie quando siano gravati da un rischio infettivo analogo a quello dei rifiuti pericolosi infettivi prodotti dalle strutture sanitarie.

Tra questi, come previsto dall’articolo 2 lettera i) del Regolamento, rientrano anche quelli eventualmente prodotti dagli istituti estetici e similari.

In questo articolo si cercherà di chiarire quali siano questi rifiuti e quali sono state le motivazioni che hanno indotto il legislatore ad estendere la normativa relativa ai rifiuti prodotti nelle strutture sanitarie anche al di fuori di queste strutture stesse.

***

QUALI SONO I RIFIUTI PROVENIENTI DALLE ATTIVITÀ ESTETICHE DEFINITI PERICOLOSI A RISCHIO INFETTIVO.

E’ chiarito in più parti dal decreto (articolo 1 lettera g, articolo 2 lettera i) che sono esclusi gli assorbenti igienici anche se contaminati da sangue; questi infatti, ai sensi dello stesso articolo 2 lettera g, sono considerati assimilati agli urbani.

Ugualmente si può affermare che, avendo la medesima funzione di assorbenza e di igienicità, si ritengono assimilati ai rifiuti urbani gli eventuali batuffoli di cotone idrofilo con residui di sangue eventualmente prodotti nel corso dell’attività.

Sono inoltre assimilati ai rifiuti urbani i residui di ceretta, di capelli etc. perché non gravati da nessuna delle contaminazioni previste dallo stesso decreto.

In pratica i rifiuti pericolosi a rischio infettivo provenienti dalle attività estetiche si identificano con gli aghi e taglienti monouso utilizzati; trattasi sempre di taglienti prodotti nel corso di attività rigorosamente non sanitarie, quali ad esempio il trucco permanente, semipermanente o l’elettrodepilazione.

Ugualmente dicasi per chi effettua tatuaggio e piercing, anche se come ritroviamo scritto nelle linee guida per l’esercizio delle attività di tatuaggio e/o piercing della Regione Lombardia (decreto Direzione Generale Sanità n. 6932 del 27 aprile 2004) tale attività non è tipicamente ricompresa nell’ambito d’azione delle estetiste.

Si tratta in ogni modo sempre di rifiuti derivanti da attività che non implicano prestazioni di carattere medico, curativo e sanitario come previsto dalla normativa vigente (legge n. 161 del 14 febbraio 1963 come modificata dalla legge 23 dicembre 1970 n.1142 e legge 4 gennaio 1990 n. 1).

Non è, di conseguenza, corretto supporre che il DPR 254/2003 abbia inteso ampliare il campo di attività dell’estetica, assegnando ad essa competenze sanitarie, solo perché impone che i rifiuti che sono gravati da medesimo rischio infettivo siano trattati nello stesso modo.

Per ragioni connesse alla sicurezza dei clienti si è giustamente implementato l’utilizzo del monouso per moltissimi taglienti, soprattutto per gli aghi, data la notevole ed oggettiva difficoltà di ottenere un’efficace pulizia in grado di eliminare ogni residuo organico.

E’ questo, infatti, un principio fondamentale dell’igiene. L’eliminazione di ogni residuo organico è indispensabile per ottenere la sterilizzazione; infatti un materiale non perfettamente pulito, anche se immesso in una sterilizzatrice (ad esempio in un’autoclave), può nascondere pericolose insidie quali ad esempio patogeni ancora in grado di infettare.

Si veda infatti quanto riportato dalle linee-guida del Ministero della Sanità per l’esecuzione di procedure di tatuaggio e piercing in condizioni di sicurezza contenute nella circolare del 5.2.1998 n. 2.9/156, (ripreso poi da circolari regionali quale ad esempio la circolare della Regione Veneto n.

9 del 1 giugno 2001).

Al punto 6 è detto che: “Gli aghi e gli strumenti taglienti che perforano la cute o comunque vengono a contatto con superficie integre, lese e/o con annessi cutanei, debbono essere sempre e rigorosamente monouso. Non esistono, infatti, “caratteristiche specifiche” tali da giustificarne un riutilizzo. Tutti gli altri materiali e strumenti diversi da aghi e taglienti, devono essere sterilizzati, dopo l’uso, con mezzi fisici. Qualora non siano trattabili con il calore (si intende autoclave a 121 °C per minimo 20 minuti o calore secco a 170 per minimo 2 ore) è necessario che essi vengano sottoposti ad un trattamento che garantisca una disinfezione ad alto livello”. Esiste piena analogia tra gli aghi utilizzati per il tatuaggio e quelli usati per le attività estetiche di trucco permanente, semipermanente e per l’elettrodepilazione; da qui la ragione del monouso.

L’utilizzo di questi aghi e taglienti e la gestione dei rifiuti da loro prodotti impone ai lavoratori gli stessi accorgimenti e gli stessi diritti di tutela della salute derivanti dall’uso dei taglienti all’interno delle strutture sanitarie.

***

PERCHÉ I TAGLIENTI USATI  (AGHI, SIRINGHE, LAME, RASOI, …)  SONO PERICOLOSI A RISCHIO INFETTIVO.

Non è corretto in alcun modo pensare che i soggetti in grado di trasmettere l’epatite B, C, D o l’HIV, per citare solo alcune delle più frequenti e conosciute patologie a trasmissione parenterale, siano confinati solo in ambito ospedaliero.

E’ ben noto infatti che accanto alla trasmissione parenterale classica - attraverso aghi e strumenti chirurgici contaminati - vi è anche, soprattutto per i predetti virus dell’epatite, la cosiddetta trasmissione parenterale inapparente, attraverso cioè lesioni della cute o delle mucose difficilmente individuabili o attraverso l’uso condiviso di rasoi, forbicine e altri articoli di toilette.

In Italia i dati dei portatori cronici, secondo il rapporto ISTISAN dell’Istituto Superiore di Sanità 00/32 (a cura del dr. Alfonso Mele), sono per il virus dell’epatite B intorno all’1% della popolazione e per il virus dell’epatite C variabili dal 3,2% nel nord al 12,6% nel sud. La prevalenza dei soggetti HIV positivi, molto bassa tra i donatori di sangue, tra i consumatori di stupefacenti per via parenterale è in Italia intorno al 20% (studio NISDA).

***

I DIRITTI IN AMBITO DI TUTELA SANITARIA.

Ai lavoratori del settore quali estetiste, agopuntori, barbieri che nel corso della propria attività professionale vengono a contatto con taglienti usati e quindi possono pungersi o tagliarsi con gli stessi, devono essere applicate le stesse regole relative agli infortuni degli operatori della sanità.

Andrebbe, quindi, proposta l’offerta gratuita della vaccinazione anti-Epatite B, l’eventuale monitoraggio del titolo anticorpale protettivo e l’eventuale profilassi con farmaci antiretrovirali nel caso si sospetti la provenienza del tagliente da un soggetto con infezione HIV.

Le Aziende Sanitarie Locali dovrebbero infatti valutare se applicare anche a queste figure, pur non inquadrate tra gli operatori sanitari, il protocollo nazionale di profilassi post-esposizione approvato dalla Commissione Nazionale per la lotta all’AIDS del Ministero della Sanità.

***

IL RISCHIO DI TRASMISSIONE DELLE INFEZIONI.

Il rischio derivante da esposizione professionale ad infezioni da agenti patogeni a trasmissione ematica è stato studiato soprattutto dal Gruppo Italiano sul rischio professionale negli operatori professionali, guidato da G. Ippolito e coordinato dal Centro di riferimento AIDS.

I dati di seguito riportati provengono, quindi, da detti studi.

Il rischio di trasmissione per singola puntura accidentale è stato stimato tra il 2% ed il 40% per l’epatite B, tra il 3% ed il 10% per il virus dell’epatite C e tra lo 0,2% e lo 0,5% per l’HIV.

La notevole variabilità per il virus dell’epatite B è connessa alla differente situazione del portatore come fonte di infezione; nel caso in cui in esso non sia presente l’antigene E il rischio di trasmissione dell’infezione è stato stimato nel 2%, viceversa nel caso sia presente questo marcatore di infettività il rischio può arrivare fino al 40%. Per questo motivo la vaccinazione antiepatite B risulta fortemente indicata.

Ugualmente per l’epatite C maggiore è il rischio nel caso in cui nel portatore fonte di infezione vi sia la presenza del HCV-Rna (acido nucleico del virus). Per l’HIV un’alta carica di particelle infettanti si osserva nell’infezione acuta e nell’AIDS conclamata (da “Dati e statistiche” di Liliana Maggese, Divisione di Malattie infettive Ospedale Niguarda Milano).

Oltre alle caratteristiche del paziente fonte di infezione risulta opportuno in questa sede ricordare quanto riportato dall’aggiornamento delle linee guida per la chemioprofilassi con antiretrovirali dopo esposizione occupazionale ad HIV negli operatori sanitari (Ministero Sanità): “il rischio medio di infezione da HIV, in seguito a esposizione percutanea di qualsiasi tipo con sangue infetto, è mediamente dello 0,3%. Detto rischio è aumentato nel caso di ferita profonda spontaneamente sanguinante, puntura con ago cavo utilizzato per prelievo, presenza di sangue in quantità visibile sulla superficie del presidio implicato nell’incidente, contaminazione congiuntivale massiva o esposizione a fonte HIV concentrata (da Laboratorio).”

Poiché le suddette condizioni non si verificano durante l’attività dell’estetista, si può affermare che il rischio da HIV per singola puntura accidentale da ago o tagliente contaminato si attesta su un valore piuttosto basso (0,2%-0,3%) anche se non nullo.

E’ opportuno ricordare, sempre tratte dal documento del Ministero della Sanità – Commissione Nazionale per la lotta contro l’AIDS e le altre malattie infettive -, quali sono le manovre da eseguire subito a seguito di esposizione accidentale a materiale biologico, da punture e da tagli:

  • Aumentare il sanguinamento e detergere abbondantemente con acqua e sapone;

  • Procedere alla disinfezione della ferita con preparato a base di cloro (tipo Amuchina al 5%) o prodotto a base di PVPJ (iodio tipo Paniodine o Betadine) esclusa la cute del viso.

***

LA GESTIONE DEI TAGLIENTI-RIFIUTI.

Innanzitutto va ricordato che è vigente il decreto del Ministero della Sanità 28 settembre 1990 “Norme di prevenzione del contagio professionale da HIV nelle strutture sanitarie ed assistenziali pubbliche e private” che, per il principio di uguale trattamento per l’analogo rischio, a mio parere, è necessario applicare anche al di fuori delle strutture sanitarie.

Si riporta l’articolo 2 relativo all’eliminazione di aghi e di altri oggetti taglienti:

“L'eliminazione degli aghi e degli altri oggetti taglienti utilizzati nei confronti di qualsiasi paziente (in questo caso cliente) deve avvenire con cautele idonee ad evitare punture o tagli accidentali. In particolare gli aghi, le lame di bisturi e gli altri strumenti acuminati o taglienti monouso non debbono essere rimossi dalle siringhe o da altri supporti né in alcun modo manipolati o rincappucciati, ma riposti, per l'eliminazione, in appositi contenitori resistenti alla puntura”

Il divieto di rimuovere, manipolare o incappucciare gli aghi discende dal fatto che la manovra che più di altre era causa di infortunio negli operatori era proprio il riposizionamento del cappuccio sull’ago usato.

La tutela della salute va estesa anche agli operatori addetti al trasporto e smaltimento degli aghi e taglienti usati, ed ecco la motivazione che ha indotto il legislatore a considerarli così rifiuti pericolosi a rischio infettivo. Vanno quindi utilizzati gli appositi imballaggi rigidi a perdere resistenti alla puntura, di cui all’articolo 8 del D.P.R. 254/2003, in modo da evitare anche in questi operatori esposizioni infettanti (punture accidentali).

Il contenitore va naturalmente posto su un piano stabile e soprattutto in un posto inaccessibile ai bambini che potrebbero, spinti dalla curiosità, infilare dentro le mani.

Con queste precauzioni non c’è naturalmente da temere nulla dallo stoccaggio degli aghi usati, perché anche gli eventuali microrganismi presenti, pericolosi se in grado di entrare a contatto con il derma, in questo modo non provocano alcun rischio (non volano, non vi è alcun rischio per inalazione!).

***

LA DISINFEZIONE

Come già detto, secondo le linee-guida del Ministero della Sanità per l’esecuzione di procedure di tatuaggio e piercing in condizioni di sicurezza (circolare 05.02.1998 n 2.9/156), tutti gli altri strumenti diversi da aghi e taglienti, devono essere, qualora non siano trattabili con il calore (si intende autoclave a 121 °C per minimo 20 minuti o calore secco a 170 per minimo 2 ore), sottoposti ad un trattamento che garantisca una disinfezione ad alto livello, previa naturalmente idonea pulizia ed asciugatura, pena l’inefficacia della disinfezione stessa. Lo stesso sopraccitato documento cita tra i disinfettanti ad alto livello più largamente utilizzati l’ipoclorito di sodio alla concentrazione di 5000 ppm e la glutaraldeide al 2%.

E’ importante evidenziare che l’utilizzo della glutaraldeide è molto problematico perché si tratta di un irritante per la cute, per gli occhi ed il tratto respiratorio; inoltre il contatto ripetuto con la cute può causare dermatiti e sensibilizzazione cutanea (informazioni tratte da una scheda internazionale di Sicurezza Chimica). Viene pertanto sconsigliata per tali utilizzi.

Rimangono i prodotti a base di cloro meno irritanti alle concentrazioni d’uso rispetto alla glutaraldeide e dotati di una buona azione antivirale.

Un ultimo accenno meritano le lampade ad ultravioletti per una precisazione importante presente in tutti i manuali di Igiene:

Non sono idonee alla disinfezione dello strumentario, Servono solo a mantenere in situazione di asepsi (cioè di pulizia, evitando l’apporto di ulteriori microrganismi) gli strumenti già sterilizzati o disinfettati con altri mezzi. Le radiazioni ultraviolette, a causa del loro scarso potere di penetrazione, si usano per la disinfezione dell’aria e dell’acqua ma non per gli strumenti.

Rimini 19 aprile 2018

Il segretario generale di Confestetica

Roberto Papa