Il Ministero della Salute ha sottratto illegittimamente, per due anni, tale trattamento all’estetista, senza alcuna ragione logica o giuridica-scientifica. La volontà del Ministero della Salute trasfusa nella Nota Circolare del 19/05/2019 di considerarla all’interno delle prestazioni sanitarie non è fondata.

Ogni anno ci sono 53.000 donne che a seguito dell’intervento di carcinoma alla mammella necessitano della dermopigmentazione all’areola-capezzolo svolta dall’estetista da oltre trent’anni. Il Ministero della Salute dal 2019 ha deciso, arbitrariamente, di sospendere tali attività, lasciando oltre 100Mila donne prive di questo importantissimo trattamento, asserendo che tale dermopigmentazione sia di competenza del medico, che per inciso, non se ne è mai occupato.  

La decisione su questa vicenda è del Consiglio di Stato che, in una camera di consiglio a maggioranza femminile presieduta da Franco Frattini, ha accolto il ricorso di Confestetica. L’associazione di settore, che conta oltre 20.000 iscritti. L’associazione aveva impugnato la circolare ministeriale dinanzi al Tar del Lazio che, in primo grado, aveva dato ragione al Ministero.

L’inserimento della dermopigmentazione dell’areola-capezzolo fra i LEA “Livelli Essenziali di Assistenza sanitaria”, ovvero quelle prestazioni che le Regioni e le strutture sanitarie pubbliche sono tenute a fornire obbligatoriamente, era stato deciso nel 2019 con una circolare della Direzione Generale della prevenzione del Ministero oggi affidato a Roberto Speranza.

Con quella direttiva il “tatuaggio per pigmentazione del complesso areola capezzolo”, una prestazione spesso richiesta dalle donne che hanno subito trattamenti di radioterapia o interventi chirurgici al seno con ricostruzione, era, si legge nella circolare ministeriale, consentito “esclusivamente da parte dei professionisti sanitari, escludendola dalle attività previste per la figura artigianale dell’estetista”. Il giudice di primo grado si è riconosciuto in quell’indicazione per poi venire sconfessato dal Consiglio di Stato.

Per risolvere la questione i magistrati amministrativi hanno richiesto una verificazione all’Istituto Superiore di Sanità. Tale verificazione è stata affidata a due delle massime esperte scientifiche in tale settore che hanno risposto:

1 – la definizione di trattamento terapeutico non discende automaticamente dall’inserimento tra i LEA;

2 – nella specie la dermopigmentazione non costituisce trattamento terapeutico;

3 – la competenza maggiore e specializzata in ordine alla predetta pratica appartiene proprio agli estetisti precipuamente preparati;

– allo stato, non sussistono altre figure professionali adeguate.

Il Consiglio di Stato ha evidenziato che la pratica “della dermopigmentazione non può essere ricondotta alla tipologia del trattamento terapeutico, come unica conseguenza della sua indicazione tra i Lea. I livelli essenziali di assistenza, infatti, sono le prestazioni e i servizi che il Servizio sanitario nazionale è tenuto a garantire a tutti i cittadini. Affermare la natura sanitaria come unica conseguenza dell’inclusione dell’elenco implica un salto logico, che non può trovare condivisione”.

Anche perché il Ministero, dopo aver chiuso arbitrariamente le porte alle estetiste, si è dimenticato di dare seguito alle proprie decisioni: non ha definito per i medici “un percorso di formazione specifico che sarebbe allo stato da istituire”, né ha indicato “una professione sanitaria preposta a eseguire tale attività”, lasciando, oltre 100mila donne oncologiche , in attesa del trattamento che le estetiste, nel frattempo, non potevano più erogare per l’arbitraria e illegittima Nota circolare del Ministero della Salute.

Del resto, ciò non sarebbe mai potuto accadere perché per svolgere l’attività di dermopigmentazione è necessario il titolo di estetista, che il personale sanitario non possiede, inoltre, per esercitare, serve la “licenza comunale di estetica”, che si ottiene, presentando la SCIA in Comune, solo se in possesso del titolo di estetista.

Confestetica ha combattuto questa battaglia per tutte le estetiste e, come sempre, l’ha combattuta fino in fondo fino alla vittoria finale, credendoci sempre insieme al proprio legale Avv. Maria Camporesi.

Le estetiste possono finalmente tornare ad eseguire la dermopigmentazione del complesso areola capezzolo che è una loro competenza propria.

E’ giusto puntualizzarlo! perché questo è quello che prevede la legge, da oltre trent’anni, che una circolare del Ministero della salute voleva spazzare via.

La verificazione ordinata dal Consiglio di Stato all’ Istituto Superiore di Sanità è certo stata importante perché ha chiarito, definitivamente, che la dermopigmentazione dell’areola-capezzolo non è un trattamento terapeutico, circostanza che era comunque evidente per legge ma che il Ministero della Salute prima e il giudice di primo grado poi hanno completamente ignorato.

Bisogna anche chiedersi perché lo stesso Istituto Superiore di Sanità, che negli anni precedenti ( dieci anni almeno) aveva pubblicato ricerche e studi scientifici sul tema, abbia dovuto aspettare che un giudice gli chiedesse conto e non è intervenuto presso il Ministero per far annullare  una circolare che danneggiava una intera categoria di estetiste e migliaia di donne che per due anni non hanno potuto ricevere la dermopigmentazione dell’ areola-capezzolo?

Ci sono voluti due anni per accertare quello che era già chiaro per legge.

Questo è il sistema Italia!!!!!

Confestetica andrà fino in fondo anche su questo e chiederà i danni a chi di dovere per questi illegittimi comportamenti che hanno creato danni irreparabili alle estetiste e alle migliaia di donne che in questi due anni non hanno potuto ricevere la dermopigmentazione del capezzolo-areola.